martedì 29 maggio 2012

La riforma di Gluk

Si definisce come riforma gluckiana il tentativo di rinnovamento dell'opera seria italiana del '700, portato avanti, nella seconda metà del secolo, dal musicista Christoph Willibald Gluck e dal librettista Ranieri de' Calzabigi, con l'incoraggiamento ed il sostegno determinante del direttore generale degli spettacoli teatrali della corte asburgica (Generalspektakeldirektor), conte Giacomo Durazzo. Come gli stessi autori indicheranno esplicitamente nella prefazione-dedica  dell'Alceste, il vero e proprio manifesto programmatico della riforma, apparso nel 1769, essa si rivolgeva contro "tutti quegli abusi ... che hanno per troppo tempo deformato l'opera italiana e reso ridicolo e seccante quello che era il più splendido degli spettacoli", e si proponeva "di ricondurre la musica al suo vero compito di servire la poesia per mezzo della sua espressione, e di seguire le situazioni dell'intreccio, senza interrompere l'azione o soffocarla sotto inutile superfluità di ornamenti". Il nucleo centrale del tentativo di riforma del melodramma italiano fu costituito, sostanzialmente, da tre opere andate in scena a Vienna nell'arco di meno di un decennio: oltre la già citata Alceste (1767), l'Orfeo ed Euridice (1762) e, assai meno riuscita, il Paride ed Elena (1770).




La genesi della riforma 

La crisi dell'opera seria italiana  

Alla metà del XVIII secolo l'opera seria italiana era sotto scacco: essa "veniva messa in ridicolo e attaccata non tanto perché fosse deteriore, quanto perché era andata avanti troppo a lungo senza cambiamenti e i suoi più grandi interpreti erano divenuti eccessivamente arroganti. Tutte le splendide forme musicali ... degenerano e ostacolano il progresso, se troppo a lungo vengono mantenute al riparo dalla fertilizzazione, il processo attraverso il quale ogni organismo vivente riesce a generare nuova vita". Il manifesto di tale tendenza critica può essere considerato uno scritto del principe degli illuministi italiani, Francesco Algarotti, pubblicato a Venezia nel 1755 (e poi riedito a Livorno, nel 1763), sotto il titolo di Saggio sopra l'opera in musica, nel quale si mettevano in rilievo le degenerazioni di tale genere artistico, "forse il più ingegnoso e compìto" di quelli "che furono immaginati dall'uomo", e si sosteneva invece un modello altamente semplificato di opera seria, con gli elementi del dramma largamente preminenti su quelli della musica, della danza e della scenografia. Il dramma, per parte sua, doveva aver come fine quello di "muovere il cuore, deliziare gli occhi e gli orecchi senza contravvenire alla ragione". Le idee di Algarotti influenzarono, separatamente, sia il musicista Gluck sia il poetaCalzabigi, il quale divenne uno dei prominenti sostenitori della necessità di trovare nuove strade per quella che è stata poi definita, secondo Hutchings impropriamente, la riforma gluckiana.

Tra le altre influenze che si esercitarono sulla nascita dell'Orfeo ed Euridice, va ricordata anche quella del compositore Niccolò Jommellie del suo maître de ballet a Stoccarda, Jean-Georges Noverre.. Le Lettres sur la danse (1760) di Noverre invocavano l'effetto drammatico contro l'ostentazione acrobatica, sotto l'influsso, in ciò, delle opere di Jean-Philippe Rameau e dello stile di recitazione diDavid Garrick.. Si ritiene che la notevole presenza di balletti nell'Orfeo ed Euridice sia dovuta, almeno in parte, alla sua influenza, e Jommelli stesso si caratterizzò per la sua tendenza a fondere tutti gli aspetti della produzione, compresi il balletto, la messa in scena ed il pubblico. E, oltre a Jommelli, altri compositori del periodo "si [meritarono] una nicchia nella storia per aver tentato di essere drammaturghi e per aver cercato soluzioni non convenzionali per le scene culminanti - alterando l'attesa sequenza di recitativo ed aria, mediante forme insolite di aria o con patetiche musiche aggiunte": il contemporaneo Tommaso Traetta a Parma, ad esempio, o, successivamente, di Majo a Mannheim e perfino a Napoli, o, in precedenza, ma non per ultimo, lo stesso grande Händel, "per cui Gluck aveva un'ammirazione sconfinante nella reverenza" , e che "fece talora ricorso a una forma musicale complessa, chiamata 'Scena', nella quale il recitativo accompagnato sbocciava nell'arioso e includeva passaggi musicali brevi e altamente emozionali".


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