martedì 29 maggio 2012

Quartetto d'archi

Gli archi : vengono generalmente definiti archi gli strumenti in cui il suono è prodotto da una o più o più corde messe in vibrazione tramite uno sfregamento ottenuto con l'arco o archetto.

Il violino:
Il violino è uno dei protagonisti della musica colta occidentale.
La sua cantabilità , unita alle strabilianti possibilità tecniche, hanno attratto verso questo strumento quasi tutti i grandi compositori degli ultimi tre secoli.
Il violino è spesso impiegato anche nella musica leggera , in quella popolare e persino nel jazz, dimostrando così la notevole versatilità.                                
 

La viola
La viola è uno strumento appartenente alla famiglia degli archi. Si distingue dal violino per le dimensioni (è circa 1/7 più grande), per l'estensione (è accordata una quinta sotto) e per il timbro (molto più profondo e meno brillante). La tecnica della mano sinistra e dell'arco sono le stesse del violino e la chiave di lettura è quella di contralto. Le viole di piccole dimensioni (da 38 a 40 cm) hanno una voce magra e nasale, quelle grandi (da 40 a 44) un timbro caldo e rotondo.


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Il violoncello

Il violoncello è uno strumento musicale del gruppo dei cordofoni a corde strofinate (ad arco), appartenente alla famiglia degli archi; è dotato di quattro corde, accordate ad intervalli di quinta giusta. Rientra nella sottofamiglia dei "violini", di cui fanno parte quegli strumenti ad arco con quattro corde, accordati ad intervalli di quinta, che presentano dei tagli ad "effe" sulla tavola armonica (o piano armonico). La sottofamiglia dei "violini" si differenzia così dalla sottofamiglia delle "viole" che comprende invece la viola da gamba e altri strumenti antichi con tagli a "C", accordati per quarte e terze, con corde in numero variabile da tre, a sei-sette o più.
Si suona da seduti tenendo lo strumento tra le gambe, poggiato su un puntalepresente nella parte inferiore dello strumento. L'esecutore muove l'archettotrasversalmente sulle corde.
Il violoncello moderno possiede quattro corde accordate ad intervalli di quinta giusta: la corda del La (cantino), del Re, del Sol e del Do. La corda del La emette un suono tre semitoni più in basso del Do centrale e la corda del Do è due ottave più basse del Do centrale.
L'estensione del violoncello va dal Do due ottave sotto il Do centrale fino al Mi due ottave sopra al Do centrale.
Il violoncello è strettamente associato alla musica classica, ma viene usato anche nella musica heavy metal. È parte dell'orchestra, del quartetto d'archi e di molti altri gruppi di musica da camera. Molti sono i concerti e le sonate scritte per violoncello. È meno comune nella musica popolare.


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Il contrabbasso


Il contrabbasso, è uno strumento musicale della famiglia dei cordofoni ad arco. Il suono viene prodotto tramite l'attrito sulle corde del crine di cavallo montato su una bacchetta di legno, detta archetto, mentre nel jazz viene suonato quasi esclusivamente pizzicando le corde con le dita della mano destra.
È lo strumento con il suono più grave di tutti gli archi (se si esclude il rarissimoottobasso): le quattro corde producono rispettivamente dalla più acuta alla più grave i suoni SOL-RE-LA-MI in accordatura da orchestra. Per indicare con più precisione la reale altezza di una nota, viene utilizzata una nomenclatura che affianca al nome della nota un numero. Questa numerazione inizia dalla nota più bassa del pianoforte (La 0) fino alla nota più alta (Do 8). Seguendo questo schema, le corde del contrabbasso sono
  • 1ª corda: Sol 2/La 2/La 2
  • 2ª corda: Re 2/Mi 2/Fa# 2
  • 3ª corda: La 1/Si 1/Re 2
  • 4ª corda: Mi 1/Fa# 1/La 1
Esistono anche altre accordature, quali quella italiana da concerto (consistente nell'alzare l'intonazione delle corde di un tono) e quella viennese (La 2, Fa# 2, Re 2, La 1)
Esistono anche contrabbassi a cinque corde, in cui la più grave è generalmente un Do 1 o un Si 0.
In orchestra il contrabbasso ha raramente una funzione solistica, per via del suo suono estremamente basso. Ha però una funzione indispensabile nell'"amalgamare" i suoni e dare sostegno agli strumenti acuti, ed è lo strumento che, di solito, tiene il basso armonico della melodia dell'orchestra.

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La riforma di Gluk

Si definisce come riforma gluckiana il tentativo di rinnovamento dell'opera seria italiana del '700, portato avanti, nella seconda metà del secolo, dal musicista Christoph Willibald Gluck e dal librettista Ranieri de' Calzabigi, con l'incoraggiamento ed il sostegno determinante del direttore generale degli spettacoli teatrali della corte asburgica (Generalspektakeldirektor), conte Giacomo Durazzo. Come gli stessi autori indicheranno esplicitamente nella prefazione-dedica  dell'Alceste, il vero e proprio manifesto programmatico della riforma, apparso nel 1769, essa si rivolgeva contro "tutti quegli abusi ... che hanno per troppo tempo deformato l'opera italiana e reso ridicolo e seccante quello che era il più splendido degli spettacoli", e si proponeva "di ricondurre la musica al suo vero compito di servire la poesia per mezzo della sua espressione, e di seguire le situazioni dell'intreccio, senza interrompere l'azione o soffocarla sotto inutile superfluità di ornamenti". Il nucleo centrale del tentativo di riforma del melodramma italiano fu costituito, sostanzialmente, da tre opere andate in scena a Vienna nell'arco di meno di un decennio: oltre la già citata Alceste (1767), l'Orfeo ed Euridice (1762) e, assai meno riuscita, il Paride ed Elena (1770).




La genesi della riforma 

La crisi dell'opera seria italiana  

Alla metà del XVIII secolo l'opera seria italiana era sotto scacco: essa "veniva messa in ridicolo e attaccata non tanto perché fosse deteriore, quanto perché era andata avanti troppo a lungo senza cambiamenti e i suoi più grandi interpreti erano divenuti eccessivamente arroganti. Tutte le splendide forme musicali ... degenerano e ostacolano il progresso, se troppo a lungo vengono mantenute al riparo dalla fertilizzazione, il processo attraverso il quale ogni organismo vivente riesce a generare nuova vita". Il manifesto di tale tendenza critica può essere considerato uno scritto del principe degli illuministi italiani, Francesco Algarotti, pubblicato a Venezia nel 1755 (e poi riedito a Livorno, nel 1763), sotto il titolo di Saggio sopra l'opera in musica, nel quale si mettevano in rilievo le degenerazioni di tale genere artistico, "forse il più ingegnoso e compìto" di quelli "che furono immaginati dall'uomo", e si sosteneva invece un modello altamente semplificato di opera seria, con gli elementi del dramma largamente preminenti su quelli della musica, della danza e della scenografia. Il dramma, per parte sua, doveva aver come fine quello di "muovere il cuore, deliziare gli occhi e gli orecchi senza contravvenire alla ragione". Le idee di Algarotti influenzarono, separatamente, sia il musicista Gluck sia il poetaCalzabigi, il quale divenne uno dei prominenti sostenitori della necessità di trovare nuove strade per quella che è stata poi definita, secondo Hutchings impropriamente, la riforma gluckiana.

Tra le altre influenze che si esercitarono sulla nascita dell'Orfeo ed Euridice, va ricordata anche quella del compositore Niccolò Jommellie del suo maître de ballet a Stoccarda, Jean-Georges Noverre.. Le Lettres sur la danse (1760) di Noverre invocavano l'effetto drammatico contro l'ostentazione acrobatica, sotto l'influsso, in ciò, delle opere di Jean-Philippe Rameau e dello stile di recitazione diDavid Garrick.. Si ritiene che la notevole presenza di balletti nell'Orfeo ed Euridice sia dovuta, almeno in parte, alla sua influenza, e Jommelli stesso si caratterizzò per la sua tendenza a fondere tutti gli aspetti della produzione, compresi il balletto, la messa in scena ed il pubblico. E, oltre a Jommelli, altri compositori del periodo "si [meritarono] una nicchia nella storia per aver tentato di essere drammaturghi e per aver cercato soluzioni non convenzionali per le scene culminanti - alterando l'attesa sequenza di recitativo ed aria, mediante forme insolite di aria o con patetiche musiche aggiunte": il contemporaneo Tommaso Traetta a Parma, ad esempio, o, successivamente, di Majo a Mannheim e perfino a Napoli, o, in precedenza, ma non per ultimo, lo stesso grande Händel, "per cui Gluck aveva un'ammirazione sconfinante nella reverenza" , e che "fece talora ricorso a una forma musicale complessa, chiamata 'Scena', nella quale il recitativo accompagnato sbocciava nell'arioso e includeva passaggi musicali brevi e altamente emozionali".


giovedì 17 maggio 2012

La lingua Francese







Il francese (nome nativo français, in IPA [fʁɑ̃ˈsɛ]) è una lingua appartenente al gruppo delle lingue romanze della famiglia delle lingue indoeuropee.
Diffusa come lingua materna in Francia metropolitana e d'oltremar,e Canada (principalmente nelle province del Québec e del Nuovo Brunswick), Belgio(Vallonia e Bruxelles), Svizzera (Svizzera Romanda) e Principato di Monaco, è lingua ufficiale di circa 30 stati ripartiti su tutti i continenti (come eredità dell'impero coloniale francese e, in minor misura, belga), oltre che di numerose organizzazioni internazionali come l'ONU, la NATO, il Comitato Olimpico Internazionale e l'Unione Postale Universale. Costituisce inoltre, insieme all'inglese e al tedesco, una delle tre lingue di lavoro dell'Unione Europea.
In Italia è parlato e tutelato in Valle d'Aosta, dove gode di uno status di coufficialità[2] con l'italiano.
Sebbene non sia ai primissimi posti tra le lingue più parlate del mondo per numero di madrelingua (circa 78 milioni[3]), essa costituisce invece la seconda per diffusione, dopo l'inglese, per numero di paesi in cui è ufficiale e per numero di continenti in cui è parlata. Le stime dei locutori totali sono difficili a causa della diffusione maggiore del francese come lingua seconda che come lingua materna e del grosso peso che hanno nella demografia di questa lingua i vasti territori dell'Africa francofona, in cui l'avanzare della conoscenza del francese è in costante crescita grazie alla scolarizzazione e per i quali non sono sempre disponibili statistiche precise o aggiornate. Tuttavia secondo le stime dell'Organizzazione Internazionale della Francofonia[1], vi sono nel mondo circa 173 milioni di "francofoni reali", ovvero madrelingua o il cui livello linguistico è paragonabile a quello di un madrelingua, cui si aggiungono circa 110 milioni di "francofoni parziali", cioè persone che ne hanno una conoscenza più limitata, per un totale di 283 milioni. A questi si aggiungono, sempre secondo le stime dell'OIF, almeno 400 milioni di persone che hanno appreso o stanno apprendendo il francese come lingua straniera. Il Ministero francese degli esteri[4] invece dichiara 119 milioni di francofoni reali e 145 milioni di francofoni parziali, per un totale di 263 milioni.
Attualmente il francese è la seconda lingua più insegnata al mondo dopo l'inglese, anche grazie a una capillare rete di servizi linguistici e culturali incentrati sui CCF (Centres Culturels Français, dipendenti dalle Ambasciate) e sulle sedi dell'Alliance Française.

I promessi Sposi capitolo 1




 




l primo capitolo si apre con un’ampia e minuziosa descrizione dei luoghi dove si ambientano le prime fasi dei Promessi Sposi: il lago, i monti che lo circondano, il fiume Adda, la città di Lecco e i paesini circostanti. Successivamente l’autore passa alla descrizione della dominazione spagnola in queste terre: soldati stranieri che commettono violenze, furti e soprusi. In questo contesto, Don Abbondio passeggia, come d'abitudine, leggendo il breviario, ma ad una biforcazione della strada, nei pressi di un tabernacolo dipinto, incontra i due bravi. Hanno i capelli lunghi racchiusi in una reticella dalla quale esce solo un grande ciuffo che ricade sulla fronte, e una ricchissima dotazione di armi d'ogni tipo. L’autore cita le molte leggi, dette gride, che prevedono pene severissime per i bravi, che non sono altro che i sicari dei potenti. L'Autore tra una citazione e l'altra - propone considerazioni ironiche sull'inefficacia di queste ed altre gride. Comprendendo che i bravi stanno attendendo lui, don Abbondio cerca vie di fuga o eventuali testimoni, ma poi, vista l'assenza delle une e degli altri, si avvicina ai due fingendosi tranquillo. I bravi gli sbarrano la strada e gli impongono, con le minacce, di non celebrare il matrimonio tra due giovani del luogo: Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. Don Abbondio, spaventato, si dichiara più volte disposto all'obbedienza, specie quando sente il nome di don Rodrigo, il padrone dei due bravi. Fatta la loro ambasciata i due f si allontanano. Le minacce dei due bravi si inseriscono nel clima di sopraffazione che caratterizza il Ducato di Milano sotto la dominazione spagnola: i potenti possono impunemente commettere ogni tipo di violenza, mentre i deboli sono costretti a subire e non sono protetti dalla Giustizia. Fin dalla fanciullezza, don Abbondio si rivela un debole e un timoroso, incapace di affrontare le difficoltà della vita in un'epoca tanto violenta. La sua scelta sacerdotale nasce allora dal desiderio di appartenere ad una classe privilegiata e protetta e non da una vera vocazione religiosa. Ma per poter stare ancora più tranquillo, don Abbondio elabora un proprio "sistema di vita" fatto di paura, di servilismo, di opportunismo che lo induce a stare sempre dalla parte del più forte, di cattiverie verso i più deboli, di critiche a chi non pensa ai fatti propri. Inizia il soliloquio di don Abbondio. Come parlando tra sé egli immagina le reazioni di Renzo e ripensa a ciò che avrebbe dovuto dire ai bravi. Infine inveisce segretamente contro don Rodrigo. Giunto a casa propria, il curato chiama Perpetua, la sua serva. Dopo qualche esitazione, si confida con lei, ma non accetta i suoi saggi consigli. Infine, stremato, va a dormire, raccomandando alla domestica la massima riservatezza.










Pitagora



Pitagora nacque a Samo nel 572 a.C. Il padre fu un bravo tagliatore di pietre preziose, sufficientemente agiato per potere pagare al figlio, ragazzo intelligente e studioso, eccellenti maestri, i migliori cervelli del tempo: il musicista e poeta Ermodame, suo concittadino, gli scienziati Talete ed Anassimandro, entrambi di Mileto, il filosofo moralista Biante di Priene e, soprattutto, Ferecide di Siro, mitografo e naturalista, un autodidatta formatosi (pare) su testi fenici, con il quale il nostro si accompagnò per sei anni, viaggiando da un'isola all'altra dell'Egeo e visitando i grandi centri commerciali dell'Asia Minore.
  Nel 548 a.C., dopo un' ultima visita a Delo, il suo maestro ed amico morì. Pitagora riprese a viaggiare da solo, ininterrottamente per 12 anni, come rappresentante di commercio del padre.In Egitto, offrendo belle coppe cesellate, si accattivò il favore dei sacerdoti egiziani, i quali lo accolsero come uno di loro e gli aprirono i misteri della loro scienza; fu così che il giovane imparò l'egiziano, la geometria, i pesi, le misure, il calcolo con l'abaco, le qualità dei minerali. Si recò, poi, inFenicia ed in Siria, e nel 539 a.C. lo troviamo a Babilonia , dove i sacerdoti caldei, anch'essi catturati dalla generosità dello studioso samio, gli insegnarono l'astronomia e la matematica.   

Tre anni dopo fu a Creta, dove prese moglie e conobbe Epimenide, una sorta di mago, purificatore ed indovino, che si arrogava il privilegio di un rapporto diretto ed esclusivo con la divinità, e si vantava di avere vissuto molte vite. Ancora un breve soggiorno a Sparta, per studiarvi le leggi ed il calendario; e nel 538 a.C., dopo 18 anni di assenza, eccolo di nuovo a Samo.
Forte delle conoscenze accumulate, Pitagora aprì nell'isola una scuola, che funzionava anche come centro di consulenza scientifica. Con i suoi concittadini, però, i rapporti furono tutt'altro che idilliaci. L'ambizione e la superiorità intellettuale del giovane scienziato non piacevano a nessuno: né ai ricchi arroganti aristocratici, i quali lo disprezzavano per le sue origini borghesi, né agli invidiosi artigiani, i quali lo ignoravano, né allo spregiudicato Policrate, il quale, divenuto il padrone dell'isola, lo snobbava e non gli affidava nemmeno uno dei progetti delle tante opere pubbliche che stavano sorgendo a Samo. L'isola natale cominciava ad andargli ormai troppo stretta: di qui la decisione di trasferirsi a Crotone, da lui conosciuta attraverso la descrizione che gli aveva fornito l'immigrato Democede, diventato suo amico.

                                        La Scuola di Pitagora


Pitagora trovò Crotone una città vivace dal punto di vista culturale; ed a Crotone conobbe certamente Alcmeone, il massimo esponente della scuola medica crotoniate, un gigante del pensiero umano, pioniere della medicina sperimentale, che dissezionando cadaveri scoprì gli organi di senso e le vie di conduzione nervosa periferica e centrale, ed intuì il corpo umano come inscindibile sintesi bio-psichica. ( Sarebbe interessante conoscere con esattezza quali rapporti intercorsero fra i due, se non altro perchè il geniale medico fu un genuino, autentico democratico).
L' ambiente era, dunque, ideale per l'apertura di una scuola. I figli ed i giovani parenti dei più ricchi cittadini accorsero in massa per iscriversi. Secondo Giamblico, uno dei tre biografi del samio, l’ammissione alla scuola richiedeva, però, un tirocinio molto laborioso: essa era subordinata all'esame del contenuto di un dettagliato rapporto informativo sulla famiglia, sull’educazione, sul carattere dell’ aspirante allievo; alla verifica della reale volontà di istruirsi; ad una quinquennale frequentazione del Maestro, con il quale doveva essere condivisa una regola severa, fatta di rigorosi tabù o divieti sessuali ed alimentari, non tutti comprensibili: niente carne, niente vino, niente triglie o cefali, niente fave, niente matrimonio, niente sesso, niente vesti eleganti; al comunismo dei beni degli iscritti, come sostiene Timeo di Taormina, che fu uno storico serio. Dopo 8 anni di prove, come se non bastasse, l'allievo era sottoposto ad un esame severo; se ritenuto degno, egli veniva reclutato ed ammesso ad incontrare il prestigioso Maestro, a parlare con lui, a ricevere il suo insegnamento. E Pitagora insegnava ai suoi discepoli la dottrina orfica della trasmigrazione e della reincarnazione dell'anima, appresa dal cretese Epimenide; ma soprattutto insegnava cose straordinarie, che nessuno prima di lui aveva insegnato: i numeri pari e dispari, i numeri primi, i numeri irrazionali, i 5 solidi perfetti, la sfericità della terra, la teoria dei rapporti e delle proporzioni, la teoria delle medie, le grandezze incommensurabili, i princìpi geometrici e, soprattutto, la misurabilità degli oggetti e dei fenomeni della natura; e dai discepoli esigeva la massima segretezza sulle conoscenze apprese. Ecco perchè Pitagora era un profeta, anzi il profeta per i suoi discepoli.



Tecnologia delle costruzioni



La Tecnologia delle costruzioni è quella disciplina, afferente all'ingegneria civile e all'architettura, che studia i materiali e le tecniche necessarie per realizzare un manufatto edilizio.
Differisce dalla scienza delle costruzioni che studia le condizioni necessarie per la staticità dell'edificio.
Nella costruzione di un edificio vengono considerate le seguenti opere, che possono essere realizzate con tecnologie e materiali differenti:
Materiali da costruzioni
  • Pietre
  • Laterizi
  • Legnami
  • Malte e calcestruzzi
Opere strutturali
  • Fondazioni
  • Strutture portanti verticali
  • Tramezzi e tamponamenti
  • Solai
  • Collegamenti verticali (scale e ascensori)
  • Copertura
Opere di finitura:
  • Pavimenti
  • Rivestimenti
  • Opere di lattoneria (pluviali, gronde, ecc)
  • Cancelli e ringhiere
  • Infissi esterni e interni
  • Impiantistica (adduzione acqua, elettrico, telefonico, scarichi acque bianche/nere)
  • Fognature